Research at the Department of Experimental Oncology (DEO) during the COVID-19 epidemics

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Human virus, including SARS-CoV2, ability to infect specific human tissues is linked to their capacity to efficiently exploit host cell machinery to produce viral proteins

Viruses do not infect all cell types indiscriminately: they  can specifically infect certain cell types while not being able to infect others. This selective infection ability is called tropism. For instance, many reports describe a selective infection –tropism– of SARS-CoV2 for specific tissues such as upper respiratory airways and alveoli, as well as gastrointestinal tract and brain, with the most frequently observed covid-19 symptoms affecting these tissues.

A recent paper published in Cell Reports describes results of a research co-supervised by Martin Schaefer –young group leader at the department of experimental oncology– and Luis Serrano –at the CRG in Barcelona– demonstrating that virus tropism is tightly linked to virus ability to adapt the codon usage –meaning how often a specific 3-nucleotide sequence of the viral genome is used to produce a given amino acid– to human tissue-specific abundance of tRNA (tRNAs are specific RNA molecules required for translation of an mRNA into a protein, by translating the mRNA sequence into the amino acid they code for). Codon usage adaptation affects the efficiency of translation of viral proteins, and ultimately specificity and efficacy of infection. Indeed, each amino acid can be translated from different 3-nucleotide combinations, called “codons”, which are defined as “synonymous” codons. However, in spite of being synonymous, some codons are more frequently used than others to produce amino acids, resulting in a different codon usage

The authors analyzed data from public databases of 502 human-infecting viruses and determined the “relative codon usage”: a value measuring how much a specific codon is used to produce an amino acid. Their analyses showed that relative codon usage was associated with human virus preference for specific tissues (tropism). 

Then, they analyzed the expression profile of tRNA in the different human tissues, which would affect the translation of viral proteins. Analyses showed that different tissues display distinct tRNA expression profiles, and thus different translational efficiency of viral proteins.

Next, authors applied a computational machine learning-based approach (a random forest classifier) to relative codon usage and tRNA expression profile: based on these data they were able to predict with accuracy the tropism of a virus for specific human tissues.  

Interestingly, their approach confirmed SARS-CoV2 virus tropism for the upper respiratory airways and alveoli, gastrointestinal tract and brain, meaning that the virus was more efficiently adapted and thus able to translate its own proteins in these target tissues.

Importantly, they demonstrated that early expressed viral proteins are better adapted to the target tissue –with tissue-specific tRNA expression likely responsible for the selection of specific viral genomes (translational selection)– by optimizing codon usage in relation to tRNA expression profile, while in the late phases of infection viruses induce a reprogramming of the tRNA in the host tissue, in order to favor the expression of viral proteins

Their data suggest the option of the generation of antiviral sequence-specific therapies targeting tRNA in the host tissue in order to limit viral infection.

Scienza, società e politica: la nuova alleanza dopo il Covid-19

In questo ultimo anno di gestione della pandemia ci siamo abituati a vedere leader politici di tutto il mondo comunicare decisioni a fianco di uno scienziato. Decisioni che hanno un impatto diretto sulla vita e sulla salute di centinaia di milioni di persone ed effetti trasformativi su comportamenti e ricchezza, e che evocano quindi un grande dibattito sui media e tra la gente. La cosa, in sé, non può meravigliarci. Durante una pandemia, la società si aspetta che gli scienziati sviluppino e mettano a disposizione conoscenze di utilità pratica, che i politici prendano decisioni quasi istantanee sulla base dei dati scientifici disponibili, e che la popolazione collabori per minimizzare la diffusione dell’infezione anche a prezzo di sacrifici importanti sul piano economico e della libertà individuale.

Ma ciò può avvenire ad una sola condizione: che si sviluppi una fiducia reciproca tra scienziati, politici e cittadini. Il Sars-CoV-2 è un virus nuovo. Ma a solo un anno dal suo isolamento abbiamo numerosi vaccini la cui somministrazione avanza rapidamente in pressoché tutto il mondo. Seppure esista ancora strada da fare per migliorarne l’efficacia, aumentarne il numero e raggiungere tutta la popolazione mondiale, la possibilità che la pandemia sia verso la sua fine è per la prima volta una possibilità concreta.

Come è stato possibile tutto ciò? La comunità scientifica internazionale ha compiuto uno sforzo di cooperazione e produttività che non ha precedenti. Mai prima d’ora governi e privati avevano investito in sinergia risorse finanziarie e competenze professionali così imponenti in un singolo progetto scientifico.

Ma la nostra speranza è che, per effetto del consolidamento del rapporto di fiducia tra società, mondo scientifico e politica, le conseguenze positive di questo straordinario successo vadano ben oltre l’attuale pandemia. L’accettazione, costantemente in crescita, del consenso della popolazione per la vaccinazione anti COVID-19 è la manifestazione tangibile della fiducia reciproca tra scienza e società civile, con la politica ad esercitare un ruolo di mediazione.

È una combinazione che può sembrare ovvia, ma che almeno su questa scala non ha precedenti. La nostra storia è infatti costellata da una lunga serie di esempi di profonda sfiducia nella scienza da parte di vasti settori della società e della politica su questioni altrettanto importanti per il destino dell’umanità, dai cambiamenti climatici agli organismi geneticamente modificati e all’alimentazione. Una crisi di fiducia reciproca che ha creato nella popolazione un sentimento diffuso di diffidenza verso i politici, da una parte, e verso gli scienziati, dall’altra. Diffidenza spesso legata alla percezione di una scarsa affidabilità dell’informazione scientifica, a causa di deformazioni dovute a convinzioni politiche o interessi personali da parte degli scienziati.

Grazie alla pandemia COVID-19 la relazione tra scienza, politica e società è ora al centro del dibattito in tutto il mondo. Con alcune luci e alcune ombre. Indubbiamente la pandemia ci ha imposto l’urgenza di prendere decisioni politiche basate sull’evidenza scientifica disponibile. I risultati sono stati eclatanti. Se quest’approccio diventasse un metodo stabile del governo politico, da solo potrebbe cambiare la storia della civiltà umana. Ma per la sua stessa natura l’evidenza scientifica disponibile è in continua evoluzione e dunque incompleta, imponendo che molte decisioni vengano prese in condizioni di incertezza, spesso generando disaccordo e sfiducia nonché una immeritata impressione di inaffidabilità della scienza.

La pandemia ha creato incertezze in ogni aspetto della nostra vita (dal lavoro, alla cura dei nostri cari e all’educazione dei nostri figli). Incertezze che creano instabilità e paura, e aprono inesorabilmente alla sfiducia e alla ricerca di certezze “alternative”, spesso alimentate da disinformazione e fantasiose teorie cospirative. La teoria del Sars-CoV2 generato da un laboratorio cinese non è diversa, nella sua natura, da quella del sottomarino tedesco come origine del virus della pandemia influenzale del 1918, chiamata “spagnola” sulla base di una fake news propagandistica. La scienza stessa non possiede bacchette magiche in grado di consentire un ritorno immediato alla vita normale. Offre invece risposte basate sulle conoscenze disponibili ad ogni specifico momento e, quindi, per la stessa natura del processo scientifico, provvisorie e incomplete. Questa è la natura, straordinaria, della scienza. La scienza si basa sull’accumulo di osservazioni e sulla loro interpretazione. Per quanto i dati siano precisi, la loro interpretazione riflette processi mentali tutt’altro che infallibili. La scienza progredisce per tappe, ciascuna delle quali genera nuova conoscenza e al contempo nuova incertezza, incertezza che diventa la base delle indagini scientifiche successive.

Nel contesto di alcuni fenomeni, e la pandemia è uno di questi, lo scienziato non può fornire certezze assolute ma spesso valutazioni statistiche: non parliamo di certezza di guarigione o di protezione attraverso la vaccinazione ma di probabilità statistica, che fornisce quindi una misura diretta del livello della certezza (o meglio dell’incertezza) della conoscenza. L’inevitabile incertezza della scienza, spesso percepita dal pubblico come un fallimento del processo scientifico, è invece la base del progresso, fornendo la motivazione per l’approfondimento e l’affinamento delle conoscenze. Esiste purtroppo anche il caso dell’incertezza fabbricata ai fini di interessi particolari, che nulla ha a che fare con la scienza. L’esempio più eclatante è la fabbricazione nella mente dei cittadini di controversie che nella comunità scientifica non esistono. Nella maggior parte dei grandi temi (quali clima e vaccini) esiste un largo consenso nella comunità scientifica, consenso basato su dati solidi accumulati negli anni e sottoposti a rigorose analisi. I pochi scienziati che per interessi personali o attitudini protagonistiche manifestano disaccordo, lo fanno più spesso sui media o sui social network piuttosto che nelle opportune sedi scientifiche. Spesso questa situazione viene presentata al pubblico come evidenza dell’esistenza di un dibattito tra parti meritevoli di uguale rappresentanza. Un vecchio trucco. Per decenni, nel secolo scorso, le industrie del tabacco hanno promosso la percezione della assenza di consenso scientifico sui danni causati dal fumo. Questi trucchi minano fortemente la fiducia della popolazione nella scienza, molto più di una comunicazione onesta dei dati scientifici nel loro contesto di incertezza, che ha invece effetti nettamente positivi su un pubblico educato a comprendere la natura del progresso scientifico. In queste relazioni complesse svolgono un ruolo fondamentale i mezzi di comunicazione, che alla informazione rigorosa, in alcuni casi, antepongono quella emotiva basata sull’insinuazione di dubbi, incertezze e paura per fidelizzare gli ascoltatori agli sviluppi della discussione. Il mondo dell’informazione dovrebbe altresì comprendere l’importanza di intercettare il pensiero condiviso dalla maggioranza degli scienziati sulla base dei dati disponibili, piuttosto che consegnare acriticamente al pubblico opinioni individuali di scienziati spesso non forniti delle necessarie competenze o autorevolezza.

Da qui dobbiamo partire per affrontare le prossime sfide: il rilancio dell’economia, la prossima inevitabile pandemia, la sconfitta delle malattie ancora incurabili e infine l’ambiente, probabilmente la più grande di tutte. In tutti questi casi, come avvenuto nella gestione della pandemia, scienza e politica dovranno lavorare insieme. Così come è vero che una buona politica dovrebbe fondarsi su una solida evidenza scientifica, è altrettanto vero che l’evidenza scientifica non è sufficiente a garantire la bontà di una scelta politica. Ed è anche vero che nessuna politica avrà successo se non sarà coerente con la visione di umanità e società che vorremo scegliere. Gli scienziati sono pronti a fare la loro parte.

Pier Giuseppe Pelicci, Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e Università di Milano, Alleanza contro il Cancro (ACC)
Gioacchino Natoli, Istituto Europeo di Oncologia (IEO) Milano
Ruggero DeMaria, Università Cattolica e Policlinico Gemelli di Roma, Italian Institute for Genomic Medicine di Torino, Alleanza Contro il Cancro (ACC)

Federica Facciotti, Sara Gandini and Federica Bellerba contributed to the Zanichelli-SIBBM project for a covid-19 information website

 

 

An exceptional aspect of this pandemic has certainly been the unprecedented level of researchers’ interaction worldwide. The rapid sharing of the most recent studies and discoveries in the field enabled to quickly unveil key points of the biology of SARS-CoV2, the viral agent responsible for covid-19 disease. Scientists have offered their specific expertise and shared their most recent findings, even before publication, with the aim of quickly gathering as much information as possible to provide clinicians with adequate tools to front the pandemic and help the world population.

IEO researchers have been part of this. Federica Facciotti, Sara Gandini and Federica Bellerba, researchers of the Department of Experimental Oncology, have joined, together with other scientists, a project in collaboration with Zanichelli and SIBBM (Italian society of biochemistry and molecular biology) aimed at the dissemination of SARS-CoV2 knowledge. The website, open to anyone, is thought to be a free tool for academics, to access scientifically reliable information on key aspects of SARS-CoV2 biology.

The website is available both in Italian and in English and covers several aspects of SARS-CoV2 science: from SARS-CoV2 RNA biology to the immune system involvement in covid-19 disease, from the modes of virus transmission to the molecular tools and artificial intelligence-based approaches to covid-19 diagnosis. The potential role of environmental factors and climate in Covid-19 outbreak is also discussed, collecting available experimental evidence in favor or against this cause-effect relationship. The website is work in progress and new “chapters” will be coming soon. Have a look and learn about SARS-CoV2.

Susanna Chiocca wins a Cariplo Grant to foster the integration of sex and gender dimension in precision medicine

 

 

Susanna Chiocca at the Department of Experimental Oncology is the winner of a Cariplo grant for Science and Technologies Studies, aimed at the integration of sex and gender dimension into biomedical research and clinical practice, in Italy and Lombardy, with particular emphasis on the aspects related to precision medicine. Paolo Maugeri and Sara Gandini are also part of the IEO team.

The project’s partner organisation is the GENDERS research Center at the University of Milan, represented by Camilla Gaiaschi, which is offering a different and complementary type of expertise.  Importantly, Marina Cacace and Luciano D’Andrea at K&I (Conoscenza ed Innovazione) are providing their expertise and know-how.

The general project’s goals are to unveil the factors that delay the integration of sex and gender differences in research and clinical practice, and considering sex and gender in a precision medicine approach.

In particular, by focusing on three cancer types, colon, head and neck, melanoma, the project aims at:

  • identifying the sex- and gender-related factors linked to their incidence, diagnosis, treatment, outcome, as well as identifying the technical and social reasons explaining why these aspects are often neglected in research and clinical practice;
  • defining guidelines to approach sex/gender related differences in biomedical research and clinical work;
  • transferring the acquired knowledge to other Italian and regional research institutions and healthcare professionals by means of ad hoc communication tools.

«Sex and gender are critical factors in biomedical research -explains Susanna Chiocca- which have been largely ignored in the past. How many of us use to note the sex of the mouse before performing experiments? However, differences have been observed in male and female cells and organisms at the molecular level, which may influence diagnosis or treatment. This is called the sex dimension. Furthermore, some conditions that have been typically considered women-diseases, such as osteoporosis, are now recognized as a health problem also in men, yet they are often underdiagnosed and under-treated. This is the gender dimension.

More recently, Covid-19 has emerged as having a sex and gender dimension. Researchers and clinicians have reported that while preliminary data suggest a comparable number of cases in male and female patients, differences can be observed in mortality and disease progression. The observed differences may be linked to gender related aspects. For instance, a greater risk of severe complications and higher mortality rate has been observed in smokers and, in China, there is a higher number of male smokers compared to female smokers. Alternatively, the different mortality may be due to sex-related, hormonal differences. Studies conducted in murine models showed that male mice were more susceptible to SARS-CoV (the virus responsible for the 2002-2003 SARS epidemic) infection compared to age matched females, most likely due to oestrogen signalling protection.

Our project aims at verifying the existence of sex/gender dimension of research and clinical work in a precision medicine framework. What does it mean? Covid-19 offers a paradigmatic example. Indeed, it has been reported that some polymorphisms, such as those of the interferon-induced genes OAS-1 and PKR, which have a role in the outcome of SARS-CoV2 infection, may be different in males and females. Similarly, sex-related differences in drug absorption, distribution, metabolism and elimination may explain the diverse effects exerted by some drugs in males and females, thus highlighting the importance of designing clinical trials considering sex and gender dimension.

By first analysing these factors in three cancer types, our project will pave the way to a sex/gender-weighted approach in precision medicine, to be later further explored in other diseases, to include the sex/gender dimension in the innovative precision medicine approach.»

Sara Gandini wins a grant from Regione Lombardia to evaluate the effect of vitamin D administration on Covid-19 cancer patients

 

 

Sara Gandini will coordinate a study involving IEO scientists –Luca Mazzarella, Susanna Chiocca, Federica Facciotti, Loris Bernard, Massimo Barberis, the IEO Pharmacy, in particular Costantino Jemos, and the biologists, in particular Harriet Johansson, of the Cancer Prevention and Genetics Division–, the ASST Spedali Civili of Brescia, the ASST of Monza, and Milano Bicocca University, centers located in areas in Italy heavily hit by the Covid-19 epidemic, to evaluate the effect of vitamin D supplementation in cancer patients diagnosed with Covid-19, with non-severe symptoms, in order to potentiate their immune response and, as a consequence, reduce the percentage of Covid-19 infection-related hospitalization.

Vitamin D mainly derives from UV light-induced synthesis. However, our contemporary lifestyle, often limiting sun exposure, leads to a widely diffused vitamin D deficiency, or hypovitaminosis.

In particular, in the past months, home isolation imposed to limit the effects of the pandemic, further reducing sun exposure, has increased the risk of D hypovitaminosis.

In cancer patients, vitamin D levels are commonly lower compared to the general population and these patients are among the individuals with worse Covid-19 prognosis.

Several lines of evidence highlight the importance of vitamin D for human health: vitamin D administration is associated to reduced cancer-related deaths, vitamin D has a key role in the modulation of the immune system, vitamin D supplementation showed positive effects in patients with inflammatory bowel disease and reduced the incidence of upper airway infections, whereas vitamin D deficiency can increase the risk of airway infections. Furthermore, experiments in cell cultures suggest a direct antiviral effect of vitamin D.

The main goal of theCOVitaminD Trial: prevenzione di complicanze da COVID-19 in pazienti oncologicistudy, funded by Regione Lombardia, is to assess whether vitamin D supplementation, a therapy with well-known beneficial effects in cancer and devoid of side effects, may contribute to potentiate the immune response to Covid-19 infection in cancer patients with mild or no symptoms, in order to reduce the risk of severe Covid-19 complications and prevent hospitalization for Covid19-related pneumonia.

From a mechanistic point of view, the study is based on the hypothesis that vitamin D may have a threefold effect: 1) on the immune system, potentiating the response against the virus; 2) reducing the expression of ACE2  receptor –used by the virus to infect human cells– and the enzymes involved in glycosylation (post translational modification of the proteins that may alter their activity) of ACE2, limiting its activity and, as a consequence, reducing the virus efficiency of infection; 3) due to the direct effect on the microbiota (populations of microorganisms of the gut), which may be protective against infection.

This study will enable to assess the possibility that vitamin D may be able to prevent severe Covid-19 complications, thus avoiding cancer patient hospitalization.

Luca Mazzarella, Saverio Minucci and Pier Giuseppe Pelicci win a Regione Lombardia/Cariplo/FUV grant to study a new therapeutic strategy against coronaviruses

 

 

In the context of the call for proposals against Covid-19, Luca Mazzarella, Saverio Minucci and Pier Giuseppe Pelicci, in collaboration with Italfarmaco as industrial partner, Istituto Superiore di Sanità and Istituto Zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna, obtained a Regione Lombardia/Cariplo/FUV grant.

The project, titled “Epigenetic therapy for the treatment of coronavirus infections” aims at verifying the involvement of mechanisms of epigenetic control –which have been investigated by the three research groups as potential targets of anti-cancer therapies– in the innate immune response, particularly to SARS-CoV2 infection.

SARS-CoV2 virus has a genome made of single strand RNA. However, during replication, it’s generated double strand RNA. The generation of double strand RNA leads to the activation of cell mechanisms that sense the presence of double strand RNA and induce the response of the immune system. Coronaviruses express proteins able to inactivate the mechanisms by which cells sense the presence of double strand RNA, hence dysregulating the body response to viral infection: on one side, inducing an excessive inflammation, on the other side preventing the effective activation of specific cells of the immune system (T cells). These processes are controlled at the epigenetic level, namely through modifications of proteins associated with the DNA, the histones.

Cancer progression depends on epigenetic mechanisms as well; indeed, it has been previously shown that inhibition of LSD1 (lysine demethylase 1), protein involved in the control of histone methylation, is able to reduce or block tumor cell growth.

This project is based on the hypothesis that drugs acting on epigenetic mechanismscurrently under study as anti-cancer drugs– might also modulate the response against coronaviruses, enabling the body to eliminate the virus. Preventing virus replication, especially in the initial phases of the infection, would enable to halt disease progression before the appearance of severe symptoms.

Therefore, these studies will allow for the identification of effective therapies against coronaviruses, to be used in the treatment of Covid-19 patients, and at the same time, by studying critical mechanisms of response to viral infection, will enable to identify new therapeutic targets against future coronavirus infections.

Covid19 clinical trials geographical analysis.

Read the paper about the Semantic and Geographical Analysis of COVID-19 Trials.

Objective: Raise awareness for work-life balance and gender aspects while aiming for academic progress during the COVID-19 pandemic

The IEO is one of the 14 members of the EU-LIFE alliance to promote excellence in life sciences in Europe

All of the EU-LIFE Institutes and their employees are being confronted by multiple challenges posed by the COVID-19 pandemic. Political decisions and actions differ amongst EU countries and thus each EU-LIFE Institute has probably implemented different policies related to the conduct of research activities. In this context, we want to create awareness for work-life balance issues and gender aspects while aiming for academic progress during the pandemic.

The scientific and clinical professionals as well as administration and support staff are facing multiple stressful challenges because of the urge to continue working remotely, while balancing child and eldercare and dealing with fear, anxiety and social isolation. These responsibilities and threats are leading to a reduced number of effective working hours during the daytime and impact health and well-being of employees trying to overcome this daytime reduction by working during the late evening or even at night. Some work activities, such us laboratory work, cannot be conducted in a home office, limiting workers’ effectiveness and progress.

The EU-LIFE Gender Equality Working Group (GWG) highly appreciates the open acknowledgement of the above listed challenges by several EU-LIFE  directors  and would like to offer  the Working Group’s  support in  discussing  possible measures  minimizing negative effects for individual employees and their institute.

The mentioned work-life balance challenges might cause (or strengthen) a gender difference during this COVID-19 pandemic, as still today women tend to take the bigger share of caring responsibilities in many families. First analyses from journal editors disclose that during the COVID-19 pandemic women seem to publish less than they do normally, while men publish even more (in some research fields). Elsevier is planning to do a full analysis across all their journals how submission patterns for women and men have changed during the COVID-19 period (information received through personal communication).

The GWG will continue to monitor the effect of the COVID-19 pandemic on work-life balance and on gender differences and it will propose measures to counteract this. To start with, the GWG would encourage all EU-LIFE directors to openly discuss these topics in their institute and take possible effects of the COVID-19 pandemic into account when evaluating employees.

A Milano IEO «Covid-safe»: tamponi gratuiti per personale e pazienti

"CORRIERE DELLA SERA, 12 maggio 2020"

L’iniziativa dell’Istituto Europeo di Oncologia sostenuta dalla «Fondazione Europea Guido Venosta, l’uomo contro il cancro»​.

Tamponi per tutto il personale e per i pazienti ricoverati: succede all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, dopo l’appello lanciato da un gruppo di scienziati a Governo e Regioni per impiegare laboratori e competenze per l’esecuzione dei test. L’appello era stato promosso dall’Imperial College di Londra, dalla rete degli Istituti di Ricerca Ricovero e Cura (IRCCS), compreso lo IEO, e dai principali Istituti di ricerca biomedica italiani. Diagnosi, mappatura della diffusione del contagio e ricerca della possibile immunità: sono i pilastri indicati dagli scienziati per ridurre i rischi di contagio, in attesa di cure e vaccini.

Rischi minimi di infezione
Il Laboratorio di ricerca dello IEO ha ottenuto il via libera dalla Regione Lombardia per processare i tamponi. Sono già in corso i test su pazienti e personale sanitario: l’obiettivo è garantire ai malati oncologici la continuazione delle cure in un ambiente a minimo rischio di infezione. Fondamentale il sostegno della «Fondazione Europea Guido Venosta, l’uomo contro il cancro», presieduta da Giuseppe Caprotti, poi affiancata da Francesco Niutta e Nicolò Fontana Rava, che ha donato 400mila euro per coprire il fabbisogno di reagenti per l’esecuzione e l’analisi di una prima tranche di 10mila tamponi. La collaborazione tra IEO e Fondazione Venosta si estende poi a un progetto di ricerca scientifica: insieme al Mount Sinai di New York e all’Università di Pavia, i ricercatori IEO hanno messo a punto un test per la ricerca di anticorpi anti Sars-CoV-2, autorizzato dalla Food and Drug Administration (FDA) per uso interno e sottoposto alle autorità competenti italiane.

Probabilità di reinfezione
I pazienti e il personale IEO saranno quindi sottoposti anche a test sierologici e i dati raccolti saranno utilizzati per stimare la probabilità di reinfezione da Sars-CoV-2 in soggetti con anticorpi e quindi già entrati in contatto con il virus. Un dato fondamentale per determinare il grado di protezione dei soggetti precedentemente infettati e la sua durata. I laboratori di ricerca IEO potranno analizzare tamponi e sieri effettuati anche in altre strutture che parteciperanno allo studio: i risultati della ricerca saranno messi a disposizione di tutta la comunità scientifica e delle istituzioni in una logica "open source". «Mettere in sicurezza il luogo di lavoro ed eseguire un progetto scientifico per determinare la sieroprotezione non sono due attività distinte — specificano Pier Giuseppe Pelicci, direttore della Ricerca IEO, e Fabrizio Mastrilli, direttore sanitario IEO —. Operativamente si basano sul medesimo programma che, se ben disegnato e coordinato, consente di realizzare simultaneamente entrambi gli obiettivi. Noi pensiamo non solo che si possa fare, ma che tutti gli enti e le aziende dovrebbero proteggere i propri lavoratori e utenti e contemporaneamente contribuire alla conoscenza necessaria per uscire dalla crisi». L’obiettivo finale è che il progetto possa diventare un modello di riferimento che induca altri laboratori di ricerca ad attivarsi, affiancandosi al lavoro delle istituzioni sanitarie pubbliche.

Abbiamo chiesto allo IEO di chiarirci alcuni punti del progetto. Verranno eseguiti solo tamponi o anche test sierologici?
«Entrambi. Il progetto Covid-safe prevede il monitoraggio del personale e dei pazienti con tamponi e sierologia. Sulla base di queste considerazioni testeremo personale sanitario, pazienti ricoverati in Oncologia medica e pazienti ricoverati chirurgici, per un numero totale previsto di 5.284 soggetti nei 4 mesi dello studio, con un totale di 12.813 tamponi, 24.461 test sierologici e 24.461 prestazioni infermieristiche».

Che cosa c’è in programma dopo l’esecuzione dei 10mila tamponi?
«La sperimentazione include un periodo di massimo 4 mesi per l’arruolamento dei soggetti e si protrae per altri 4 dopo che ogni soggetto è stato arruolato. Sulla base dei risultati dello studio e dell’evoluzione dell'epidemia decideremo come continuare il monitoraggio del personale e dei pazienti».

Come si è mosso lo IEO per proteggere i pazienti oncologici dal contagio?
«IEO ha messo in atto misure di compartimentalizzazione del personale e dei pazienti nello spazio (multiple aree di lavoro separate) e nel tempo (turni) e di tracciamento attivo della sintomatologia (mediante email e telefonate), in modo da identificare rapidamente i positivi sintomatici e mettere in atto procedure molto selettive di quarantena (per i dipendenti) e isolamento/trasferimento per i pazienti. In particolare, accanto a procedure nel tempo divenute standard, come misurare la temperatura e fare indossare mascherine chirurgiche a tutti quanti entrano in ospedale, abbiamo ridotto da subito l’affluenza di visitatori, accompagnatori e fornitori esterni, avviando sistemi di contatto a distanza (televisite, web app, triage clinici) per continuare a prenderci cura dei nostri pazienti. Il significato di “hospital safe o free” va letto nei fatti: non abbiamo avuto alcun focolaio interno (né tra gli operatori, né tra i pazienti) e siamo stati individuati dalla Regione quale “Centro Hub” per l’oncologia. Questo ha voluto dire essere in grado, in quanto ospedale “pulito”, di accogliere oltre 200 pazienti e le equipe di 14 ospedali regionali appartenenti a 10 “Centri Spoke” che hanno dovuto ridurre o interrompere la propria attività per ricoverare pazienti Covid. Infine, dalla prima settimana di maggio, è stato avviato un progetto di screening su tutti i pazienti a ricovero e sul personale con loro a contatto: tutti verranno sottoposti a tampone e test sierologici».

Nel periodo del lockdown gli accessi dei pazienti si sono ridotti?
«Sì, purtroppo in modo significativo. Per le prestazioni ambulatoriali, al netto delle aree di Chemioterapia e Radioterapia che hanno continuato ad operare a pieno regime, la riduzione è stata del 55%; i ricoveri sono diminuiti del 34%. Su questi dati ha particolarmente influito l’obbligo a non spostarsi dalle proprie regioni e a non uscire da casa. Abbiamo constatato come i pazienti, e più in generale i cittadini, non abbiano compreso che, per motivi di salute, questi obblighi non erano vincolanti».

Il test verrà riservato solo ai pazienti ricoverati?
«Sì. Per i pazienti ambulatoriali in terapia, IEO ha approntato (e sta ulteriormente espandendo) un sistema molto accurato di triage associato al mantenimento di norme di distanziamento, per mantenere i due settori (ricoverati e terapie day-hospital) separati e sicuri. Lo screening del personale sanitario genera un ulteriore livello di sicurezza per i pazienti ambulatoriali. Nel giro di pochi giorni si inizierà a utilizzare anche un’app».

IEO, al via il progetto “Covid-Safe”: tamponi e test gratuiti per personale e pazienti

"Il Sole 24 ORE, 12 maggio 2020"

La collaborazione tra l’ospedale e la Fondazione Venosta non si ferma alla messa in sicurezza dei pazienti oncologici, ma si estende a un progetto di ricerca scientifica. I dati raccolti saranno utilizzati per stimare la probabilità di reinfezione da Sars-CoV-2 in soggetti con anticorpi al virus.

Tamponi per tutto il personale e per i pazienti ricoverati. Ad eseguirli è l'Istituto Europeo di Oncologia (IEO), già attivo su questo fronte dal 23 aprile, dopo l'appello lanciato da un gruppo di scienziati il 26 marzo a governo e regioni per impiegare i propri laboratori e competenze per l'aumento del numero di tamponi virali.

L'appello era stato promosso dall'Imperial College di Londra, dalla rete degli Istituti di Ricerca Ricovero e Cura italiani (IRCCS), compreso IEO, e dai principali Istituti di Ricerca biomedica del Paese.

Diagnosi, mappatura della diffusione del contagio e ricerca della possibile immunità. Questi sono i pilastri indicati dagli scienziati per ridurre i rischi di contagio in attesa di cure e vaccini. Le istituzioni e i cittadini hanno ormai capito che questi saranno gli strumenti più efficaci da affiancare alla riduzione delle misure di contenimento.

Se da una parte Governo e istituzioni si sono dimostrati sensibili alle sollecitazioni dei ricercatori, dall'altra la risposta dei privati non si è fatta attendere, mettendosi a disposizione dei rappresentanti della comunità scientifica italiana e alla loro proposta di un piano d'azione nazionale anti-contagio.

La “Fondazione Europea Guido Venosta, l'uomo contro il cancro” rappresentata dal presidente Giuseppe Caprotti, affiancato da Francesco Niutta e Nicolò Fontana Rava, si è messa in contatto con i professori Pier Giuseppe Pelicci e Gioacchino Natoli dello IEO, Ruggero De Maria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Emilio Hirsch dell'Università degli Studi di Torino e Paolo Vineis dell'Imperial College di Londra, promotori dell'appello, per capire quale tipo di aiuto fosse necessario.

Il primo passo è il sostegno all'attività del Laboratorio di Ricerca dello IEO, che ha già ottenuto il via libera dalla Regione Lombardia per processare i tamponi. La struttura ha già iniziato a eseguire i test sui pazienti e personale sanitario di IEO. L'obiettivo è garantire ai pazienti oncologici la continuazione delle cure in un ambiente a minimo rischio di infezione.

Per proseguire e mantenere nel tempo l'attività di esecuzione dei tamponi diventa fondamentale il sostegno della Fondazione Europea Guido Venosta, che in questa fase iniziale ha messo a disposizione una donazione di 400.000 euro per coprire il fabbisogno di reagenti per l'esecuzione e l'analisi di una prima tranche di 10.000 tamponi.

La collaborazione tra IEO e Fondazione Venosta non si ferma all'esecuzione dei tamponi e la messa in sicurezza dei pazienti IEO, ma si estende a un progetto di ricerca scientifica. Insieme al Mount Sinai di New York e all'Università di Pavia, i ricercatori IEO hanno messo a punto un test per la ricerca di anticorpi anti Sars-Cov-2, già autorizzato dall'FDA per uso interno e sottomesso alle autorità competenti italiane.

I pazienti e il personale saranno quindi sottoposti anche a test sierologici, in coordinamento con gli studi condotti dall'Istituto Superiore della Sanità e dall'Istat, e i dati raccolti saranno utilizzati per stimare la probabilità di reinfezione da Sars-CoV- 2 in soggetti con anticorpi, e quindi precedentemente venuti in contatto con il virus.

I laboratori di ricerca IEO avranno una capacità di analisi dei tamponi e sieri che verranno usate per estendere lo studio ad altre strutture che parteciperanno allo studio. I risultati e i dati della ricerca saranno messi a disposizione di tutta la comunità scientifica e delle istituzioni in una logica completamente “open source”.

"Mettere in sicurezza il luogo di lavoro ed eseguire un progetto scientifico per determinare la sieroprotezione non sono due attività distinte - specificano Pier Giuseppe Pelicci, direttore della Ricerca IEO e Fabrizio Mastrilli, direttore Sanitario IEO - Operativamente si basano sul medesimo programma che, se ben disegnato e coordinato, consente di realizzare simultaneamente entrambi gli obiettivi. Noi pensiamo non solo che si possa fare, ma che tutti gli enti e le aziende dovrebbero fare questo: proteggere i propri lavoratori e utenti e contemporaneamente contribuire alla conoscenza necessaria per uscire dalla crisi."

L'obiettivo finale è dunque che questo esempio possa diventare un modello di riferimento per analoghi progetti, un precedente che induca altri laboratori di ricerca ad attivarsi, affiancandosi al lavoro delle istituzioni sanitarie pubbliche.

Il progetto Covid-safe prevede il monitoraggio del personale e dei pazienti con tamponi e sierologia. Sulla base di queste considerazioni verranno testati personale sanitario, pazienti ricoverati in oncologia medica e pazienti ricoverati chirurgici, per un numero totale previsto di 5.284 soggetti nei 4 mesi dello studio, con un totale di 12.813 tamponi, 24.461 test sierologici e 24.461 prestazioni infermieristiche. È previsto anche l’utilizzo di una app dalla prossima settimana.

Sulla base dei risultati dello studio e dell’evoluzione dell'epidemia si deciderà come continuare il monitoraggio del personale e dei pazienti.

Lockdown: keeping research on track

Gioacchino Natoli, Saverio Minucci, Pier Giuseppe Pelicci, "Nature Correspondence, April 30 2020"

As researchers in one of the regions most severely affected by COVID-19, we have been able to continue our work by using a rigid system of 24-hour shift-working that complies with the Italian government’s strict lockdown conditions.

Under this scheme, group leaders allocated volunteers from their teams to one of three shifts, taking into account ethical issues around sample handling and the cost and relevance of ongoing experiments. The shifts run from 05:00 until 12:00, 12:30 to 17:30 and 18:00 to 04:00; time between shifts is used to sanitize exposed surfaces. Laboratory occupancy at any one time is 10–15% of normal, optimizing safety. For experiments that take longer than a single shift, researchers modify their protocols — for example, by freezing samples — or ask colleagues on the next shift to take over.

People must self-report their health status before coming in: anyone knowingly exposed to or showing symptoms of coronavirus infection is excluded. And those sharing a work space with an individual who develops symptoms, or has come into contact with a symptomatic person, are immediately quarantined and medically tested if necessary (the department is a certified centre for SARS-CoV-2 diagnostic testing).

Untapped potential: More US labs could be providing tests for coronavirus

An online survey reveals bottlenecks and challenges and barriers faced by more than 1,700 biology labs.

Amy Maxmen, "Nature News April 21 2020"

A survey of more than 4,000 researchers in the United States suggests that better coordination at an institutional and national level could make hundreds of thousands more tests for coronavirus available. The survey was prompted by a Nature investigation published on 9 April, revealing that several top university laboratories that have received regulatory approval to process tests for SARS-CoV-2 are operating at half their potential capacity.

Testing is urgently needed. Hospitals continue to face delays in providing test results, and nursing homes, homeless shelters and other shared-living facilities report a lack of tests for screening at-risk residents. US officials mainly agree that more testing is needed if they are to loosen social-distancing and lockdown measures.

To find out what is preventing molecular-biology laboratories from helping with this effort, Giovanni Paternostro, a biomedical researcher at Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute in La Jolla, California, and Joshua Graff Zivin, an economist at the University of California, San Diego, sent a survey to 35,000 principal investigators who had received grants from the US National Institutes of Health (NIH) in 2018.

Of the more than 4,000 researchers who responded within the first week, about 130 were already running tests to detect the new coronavirus. Nearly 1,600 said that they had the main tool needed to run tests, a real-time PCR machine, and operated under the biosafety conditions required for working with pathogenic organisms such as coronavirus. But they were not testing.

Both groups — those who are testing and those who could — were asked what they would need to process more tests or to begin testing. Resources such as reagents and funding were a popular response for both groups, as was coordination by the NIH or their own institution. About 95% of labs not currently testing said they needed more information on protocols and regulations, such as the key Clinical Laboratory Improvement Amendments (CLIA) certification for providing clinical test results. But 43% of labs currently doing testing said that they could do with more information in these areas as well.

Almost 1,000 investigators left comments, with many describing the bottlenecks they face or their interest in assisting with the coronavirus response in other ways. One respondent, George Murphy, a stem-cell biologist who is running a coronavirus-testing operation at the Boston University School of Medicine in Massachusetts, says the survey and comments made him realize how lucky he was that his administrative leaders were flexible and pushed hard through regulatory hurdles. “Coordination at the institutional level was key,” he says.

PER LA RIPRESA L'UNICA BUSSOLA È LA SCIENZA

"Il Sole 24 ORE, 16 aprile 2020"

La Fase 2 della gestione dell'epidemia potrebbe sortire effetti drammatici se non fosse organizzata tenendo conto delle informazioni scientifiche disponibili riguardo alla circolazione del virus e allo stato di immunità degli individui. Dobbiamo ripartire subito, ma è necessario ripartire bene.
L'implementazione della Fase 2 non può non considerare tre premesse scientifiche essenziali e le relative conseguenze operative.
Nonostante il calo significativo dei nuovi contagi, la circolazione del virus è ancora alta. Il numero di casi attivi di infezione da Sars-Cov2 al momento è ancora estremamente elevato. 

FASE 2, LA BUSSOLA DEV'ESSERE LA SCIENZA

Inoltre, i casi di positività al Sars-Cov2 conteggiati finora sono una frazione, probabilmente minoritaria, del totale dei contagiati. Molti contagi rimangono non diagnosticati, in quanto poco sintomatici o non sintomatici o per la limitata disponibilità dei test diagnostici, ma sono ugualmente pericolosi in termini di trasmissione. Nel prossima futuro, l'entità della circolazione del virus nella popolazioni dipenderà ancora dalle misure di contenimento messe in atto. Tuttavia, esiste un consenso pressoché unanime sul fatto che nessuna di queste misure porterà all'azzeramento della circolazione del virus nella popolazione e quindi dei nuovi contagi. Quindi, la Fase 2 sarà una fase di coesistenza con il virus, il cui impatto dovrà essere attivamente e rigorosamente limitato con misure preventive e di controllo senza precedenti.

Il concetto di patente di immunità non ha attualmente fondamento scientifico. Indipendentemente dalla validazione dei test sierologici utilizzati, pur necessaria, non esiste al momento alcun test di laboratorio che consenta di stabilire con certezza la resistenza alla reinfezione degli individui portatori di anticorpi contro Sars-Cov2. Questo perché non esiste alcuna dimostrazione scientifica definitive che la presenza di anticorpi circolanti contro Sars-Cov2 in individui guariti determini la resistenza dell'individuo a una nuova infezione. Quindi non si può rilasciare alcun "patentino di immunità".

Sperimentazioni cliniche per stabilire il grado della risposta immunitaria protettiva contro la reinfezione e la sua durata sono in corso in Italia e altrove e cominceranno a darci delle informazioni nei prossimi mesi. In assenza di dati certi, è bene evitare semplici equivalenze tra presenza di anticorpi e resistenza all'infezione. Non si è ancora stabilito se esiste immunità di gregge. La comunità scientifica è pressoché unanimemente concorde con l'escludere l'attuale esistenza di un'immunità di gregge in grado di contenere la successiva diffusione del virus nella popolazione. I cosiddetti studi di sieroprevalenza, consistenti nella determinazione dei livelli di anticorpi nel siero in campioni rappresentativi dell'intera popolazione italiana o di specifiche comunità, stanno per essere avviati anche grazie alla validazione di nuovi test sierologici.

Tuttavia è estremamente improbabile che, anche nel caso in cui si dimostrasse l'esistenza di una risposta immunitaria protettiva durevole, il numero di persone immunizzate al momento attuale sia sufficiente a conferire un'immunità di gregge. Queste tre premesse impongono altrettanti princìpi imprescindibili per la ripresa delle attività produttive.

Innanzitutto occorre precisare che la tempestiva identificazione attraverso il "tampone" dei soggetti contagiosi è un caposaldo essenziale e imprescindibile per la ripresa di un numero progressivamente maggiore di attività. L'assunto che la necessità di test di identificazione del virus attraverso i tamponi diminuirà nelle fasi successive dell'epidemia è profondamente errato: all'aumentare della circolazione della popolazioni e delle attività lavorative corrisponderà un aumento della circolazione del virus e di conseguenza un aumento molto consistente della necessità di eseguire tamponi per la rapida identificazione e l'isolamento dei soggetti infetti e dei loro contatti. Ancorché il numero dei tamponi sia aumentato significativamente, il numero di test in Italia è insufficiente perfino alla gestione ordinaria nelle attuali condizioni di lockdown, come indicato chiaramente dalla osservazione che il numero di nuovi casi identificati oscilla parallelamente al numero di tamponi eseguiti.

Sottolineiamo quindi ancora una volta la assoluta necessità di un significativo aumento del numero dei laboratori in grado di eseguire analisi su tamponi e di un adeguato  coordinamento su ampia scala delle attività di acquisto e distribuzione dei test e delle attrezzature.

Inoltre, dobbiamo considerare che la ripresa non può prescindere dalla disponibilità di dispositivi di protezione individuale e da un'accurata definizione e intensificazione delle procedure di sanificazione degli ambienti ad alta circolazione di persone (inclusi, ma non solo, le aree produttive delle fabbriche, i supermercati, i mezzi di trasporto, il cui utilizzo aumenterà con l'aumentare della forza lavoro in movimento). Evidenze sperimentali recenti hanno dimostrato la lunga persistenza del virus sulle superfici contaminate (plastica, metallo e cartone). Pure in assenza di una misurazione rigorosa del rischio infettivo generato da superfici contaminate rispetto a quello legato alla presenza del virus nell'aria, l'impiego corretto di dispositivi di protezione individuale e l'adeguata sanificazione delle superfici contribuiranno a ridurre significativamente l'esposizione al virus negli ambienti a maggior rischio di contagio.
Infine, è evidente che, a causa della persistente circolazione del virus, la diluizione della forza lavoro in turni e ambienti, combinata con l'esecuzione di tamponi seriali e il tracciamento saranno essenziali per la ripresa in sicurezza. Il virus continuerà a essere presente e circolare nella popolazione nei mesi a venire, con un potenziale aumento proporzionale alla entità e alla rapidità della ripresa delle attività produttive.

La ripresa (comunque inevitabilmente parziale) delle attività lavorative in questa situazione richiederà quindi la definizione di modalità innovative di organizzazione del lavoro basate su:

  • distribuzione e diluizione della forza lavoro nel numero massimo possibile di turni e ambienti separati
  • analisi seriali attraverso tampone per la tempestiva identificazione dei contagiati
  • tecnologie di tracciamento in ambienti esterni (tramite Gps) e interni (sensori portatili) per la tempestiva quarantena dei soggetti contagiosi e dei loro contatti.

In conclusione, se gli sforzi messi in campo fino ad ora sono stati di portata enorme, la ripresa delle attività in presenza di una elevata e persistente circolazione virale richiederà sforzi organizzativi, sanitari ed economici di portata ancora maggiore perché l'intero processo possa andare a buon fine. È necessario pertanto adottare un nuovo approccio che si faccia forte delle risorse che la comunità scientifica del paese può offrire, altrimenti gli sforzi sostenuti fino a oggi per mantenere il distanziamento sociale saranno vanificati in breve tempo.

La scienza continuerà a offrire il proprio contributo ad acquisire con il necessario rigore le conoscenze necessarie ad aumentare l'efficienza, la rapidità e la sicurezza di questo delicatissimo processo.

Andrea Crisanti, Università degli Studi di Padova
Ruggero De Maria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Gioacchino Natoli, Istituto Europeo di Oncologia, Irccs, Milano
Pier Giuseppe Pelicci, Direttore Area Ricerca, Istituto Europeodi Oncologia, Irccs, Milano
Paolo Vineis, Imperial College, London

 

 

Aumentare i test è critico per interrompere la catena di contagio. I laboratori di ricerca di tutta italia si mettono a disposizione

 

I laboratori di ricerca italiani uniti in rete possono contribuire a fermare l’accelerazione della pandemia COVID-19. Con una lettera aperta al Presidente del Consiglio e ai Governatori delle Regioni rappresentanti della comunità scientifica italiana hanno proposto un piano d’azione nazionale anti-contagio che vede il consenso compatto della maggioranza dei direttori degli IRCCS e dei principali Istituti di Ricerca Biomedica nonché di una larga fascia degli scienziati con competenze di biologia molecolare e biotecnologie del nostro Paese. Risorse intellettuali e competenze tecnologiche di alto livello per l’esecuzione dei test diagnostici per l’identificazione del virus sono disponibili su tutto il territorio nazionale da subito e a costo di personale e attrezzature pari a zero, e quindi senza imporre ulteriori aggravi in un paese già allo stremo.

Ecco una sintesi dell’idea e la proposta: i modelli matematici delle curve di contagio e le analisi dirette sulle popolazioni colpite indicano l’esistenza di una percentuale di soggetti asintomatici o con sintomi lievi molto elevata sul totale dei contagiati. È stimato che queste infezioni non documentate abbiano una potenzialità di contagio per individuo pari a circa la metà rispetto alle infezioni documentate clinicamente. Pertanto i soggetti non sintomatici o lievemente sintomatici non solo non sono innocui dal punto di vista della diffusione del contagio, ma di fatto rappresentano la sorgente principale di disseminazione del virus nella popolazione. Appare quindi evidente come l’identificazione precoce di casi asintomatici o paucisintomatici e l’immediato isolamento degli stessi e dei contatti diretti possano consentire un’efficace riduzione della diffusione dell’epidemia.

Pertanto le attuali strategie di contenimento basate sulla identificazione dei soli soggetti sintomatici non sono sufficienti alla riduzione rapida della estensione del contagio nelle popolazioni affette.

D’altra parte, l’estensione a tappeto dei test diagnostici non è una strategia percorribile per l’ampiezza della popolazione interessata, la limitata disponibilità di kit diagnostici prontamente utilizzabili e i pochi laboratori autorizzati ad eseguire i test.

Il coinvolgimento ampio delle competenze tecnologiche disponibili sul territorio nazionale può consentirci di eseguire test ripetuti sulle categorie ad alto rischio di infezione, alto numero di contatti e che non possono essere sottoposti a provvedimenti restrittivi: tutto il personale sanitario (medici, infermieri, personale di supporto ospedaliero, personale delle ambulanze, farmacisti); tutto il personale con ampia esposizione al pubblico e parte di servizi essenziali (personale di tutti i servizi commerciali aperti quali forniture alimentari, edicole, poste; autisti di mezzi pubblici e taxi; addetti alle pompe funebri; addetti alla pubblica sicurezza e a filiere produttive essenziali).

Tecnologie ad alta processività, commerciali e non commerciali, per la rapida estensione del numero dei test sono disponibili da poche settimane e possono essere validate ed implementate su ampia scala in tempi ragionevolmente rapidi. Tecnologie più avanzate per una diagnosi rapida possono essere sviluppate e rese e disponibili per le fasi successive dell’epidemia.

Un sistema di laboratori a rete diffuso in maniera capillare sul territorio nazionale e fondato sulle competenze disponibili nei centri di ricerca italiani può mettersi al lavoro da subito.

Le risorse intellettuali e tecnologiche in Italia ci sono e sono ai massimi standard: perché non si utilizzano di fronte alla pandemia più drammatica del terzo millennio? Si chiedono gli scienziati. E ancora più preoccupati si domandano: la nostra proposta ha carattere di urgenza, perché la politica non coglie immediatamente questa opportunità?

Prof. Ruggero De Maria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Prof. Andrea Graziani, Università degli Studi di Torino
Prof. Emilio Hirsch, Università degli Studi di Torino
Prof. Gioacchino Natoli, Istituto Europeo di Oncologia, IRCCS, Milano
Prof. Pier Giuseppe Pelicci, Direttore Area Ricerca, Istituto Europeo di Oncologia, IRCCS, Milano
Prof. Giorgio Stassi, Università degli Studi di Palermo
Prof. Paolo Vineis, Imperial College, London

Comunicazioni dettagliate

 

 

 

Lettera aperta a:

Presidente del Consiglio dei Ministri, Dott. Giuseppe Conte
Ministro della Salute, Dott. Roberto Speranza
Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Dott. Gaetano Manfredi
Ministro dell’Innovazione Tecnologica e della Digitalizzazione, Dott. Paola Pisano
Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Dott. Silvio Brusaferro
Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Dott. Franco Locatelli
Presidenti delle Regioni Italiane, Vito Bardi, Stefano Bonaccini, Luca Ceriscioli, Alberto Cirio, Vincenzo De Luca, Michele Emiliano, Massimo Fedriga, Attilio Fontana, Antonio Fosson, Arno Kompatscher, Marco Marsilio, Sebastiano Musumeci, Enrico Rossi, Jole Santelli, Christian Solinas, Donatella Tesei, Donato Toma, Giovanni Toti, Luca Zaia, Nicola Zingaretti

Vista la drammatica emergenza in cui si trova il nostro paese abbiamo ritenuto un nostro dovere civico intervenire in quanto scienziati forniti di competenze tecniche e di accesso ad infrastrutture tecnologiche di potenziale pubblica utilità.

È evidente la necessità di avvalersi di tutte le infrastrutture e le competenze di alta tecnologia attualmente disponibili sul territorio per contrastare la diffusione del SARS-CoV2 in Italia. In molti altri Paesi (tra i quali Cina, Francia, Austria e Germania) laboratori accademici con elevate competenze sono stati cooptati al fine di fornire apparecchiature e personale per la estensione dei test diagnostici. In Italia esiste una comunità straordinaria di ricercatori che potrebbe contribuire da subito e in maniera molto significativa ed a costo zero all’attuale situazione di emergenza.

Analisi matematiche dell’andamento dell’epidemia indicano l’esistenza di una percentuale di soggetti asintomatici o pauci-sintomatici con capacità di trasmettere il contagio superiore all’80% del totale degli infetti. Pertanto, i soggetti non sintomatici o lievemente sintomatici di fatto rappresentano la sorgente principale di disseminazione del virus nella popolazione.

Pertanto le attuali strategie di contenimento basate sulla identificazione dei soli soggetti sintomatici non sono sufficienti alla riduzione rapida della estensione del contagio nelle popolazioni affette.

D’altra parte, l’estensione a tappeto dei test diagnostici non è una strategia percorribile al momento attuale a causa dell’ampiezza della popolazione interessata, della limitata disponibilità di kit diagnostici prontamente utilizzabili e della limitata disponibilità di laboratori attrezzati per l’esecuzione del test.

Questo limite ci impone la necessità di mappare laboratori e aziende biotecnologiche adeguatamente attrezzati sul territorio nazionale da coinvolgere da subito per la messa a punto e l’esecuzione dei test sulle categorie ad alto rischio di infezione e alto numero di contatti: tutto il personale sanitario (medici, infermieri, personale di supporto ospedaliero, personale delle ambulanze, farmacisti, addetti alle pompe funebri); tutto il personale con ampia esposizione al pubblico e parte di servizi essenziali (personale di tutti i servizi commerciali aperti quali forniture alimentari, edicole, poste; autisti di mezzi pubblici e taxi; addetti alla pubblica sicurezza e a filiere produttive essenziali).
Tecnologie commerciali e non commerciali per l’estensione del numero dei test sono disponibili da poche settimane e possono essere valutate, validate ed implementate su ampia scala in tempi ragionevolmente rapidi. Altre tecnologie possono essere rapidamente messe a punto per le fasi successive dell’epidemia.

Questa lettera aperta ha circolato per poche ore ed ha raccolte solo alcune delle firme dei colleghi esperti in tecnologie di analisi di RNA/DNA e/o con ruoli istituzionali in Istituti di Ricerca Italiani ed ha lo scopo di coinvolgere rapidamente le migliori competenze nazionali per affrontare questa emergenza.

Il documento presenta delle considerazioni scaturite da discussioni avvenute spontaneamente nell’ultima settimana, inizialmente con lo scopo di condividere esperienze delle istituzioni di appartenenza e/o competenze in aree di potenziale rilevanza per lo sviluppo di test per la diagnosi di Coronavirus.

Vista la drammatica emergenza in cui si trova il nostro paese abbiamo ritenuto un nostro dovere civico, da scienziati e da cittadini, organizzare queste considerazioni in un breve testo. Al di là del nostro specifico contributo è evidente la necessità di avvalersi di tuti gli strumenti tecnologici disponibili per contrastare il contagio nel Paese. In Italia esiste una comunità straordinaria di ricercatori che potrebbe contribuire in maniera attiva e molto significativa all’attuale situazione di emergenza.

Sebbene immaginiamo che i colleghi del Comitato Scientifico siano giunti a considerazioni analoghe, abbiamo comunque ritenuto opportuno inviarvi questo piccolo contributo nella possibilità che possa essere di aiuto.

In aggiunta a questo documento, durante le discussioni avvenute nell’ultima settimana abbiamo analizzato in dettaglio alcune soluzioni tecniche per: i) l’esecuzione dei test ad alta processività, utilizzando kit immediatamente disponibili e già validati; ii) la messa a punto e validazione di processi produttivi home-made e iii) la messa a punto e validazione di test rapidi (<1h) e senza macchinari complessi adatti a “points-of-care” locali. Siamo disponibili a organizzare un documento tecnico che serva per estendere tali abalisi a tutte le competenze specifiche presenti nel Paese e discutere la loro implementazione rispetto alle esigenze e disponibilità di ciascuna delle nostre Regioni.

La modellizzazione delle curve di contagio (Science 2020, PMID: 32179701) indica l’esistenza di una percentuale di soggetti asintomatici o con sintomi lievi o di breve durata pari a una percentuale tra l’82 e il 90% del totale. E’ stimato che queste infezioni non documentate abbiano una potenzialità di contagio per individuo pari a circa la metà rispetto alle infezioni documentate clinicamente. Pertanto, differentemente dall’infezione da SARS-CoV1, i soggetti non sintomatici o lievemente sintomatici non solo non sono innocui dal punto di vista della diffusione del contagio, ma di fatto rappresentano la sorgente principale di disseminazione del virus nella popolazione.

Pertanto le attuali strategie di contenimento basate sulla identificazione dei soli soggetti sintomatici non sono sufficienti alla riduzione rapida della estensione del contagio nelle popolazioni affette.

D’altra parte, l’estensione a tappeto dei test diagnostici non è una strategia percorribile al momento attuale a causa di diversi fattori:
1) l’ampiezza della popolazione interessata.
Questo ci impone la necessità di selezionare categorie ad alto rischio e ampio potenziale diffusivo da sottoporre a test;
2) la limitata disponibilità di kit diagnostici ad alta processività prontamente utilizzabili.
Ciò impone la necessità di i) approvvigionamento di kit commerciali ad alta processività di recente
introduzione e ii) produzione kit home-made adeguatamente validati e con protocolli rapidamente condivisibili;
3) la limitata disponibilità di laboratori attrezzati per l’esecuzione del test in termini di macchinari, personale e dispositivi/logistica di sicurezza.
Questo limite ci impone la necessità di mappare laboratori attrezzati sul territorio da cooptare per l’esecuzione dei test.

Infine, i modelli matematici indicano come l’identificazione precoce di casi asintomatici o paucisintomatici e l’immediato isolamento degli stessi e dei contatti diretti attraverso sistemi di tracciatura rapida attraverso GPS o applicazioni mobili possa consentire un’efficace riduzione della pendenza delle curve di contagio.

Sulla base delle suddette evidenze appare opportuna e urgente una strategia di contenimento organizzata in due fasi:

FASE 1. CONTENIMENTO DELLA ATTUALE EMERGENZA

1) Potenziamento della processività della esecuzione dei test diagnostici molecolari nei laboratori attualmente certificati e rapida certificazione di nuovi laboratori.

2) Estensione del test alle fasce di popolazione a maggiore rischio e capacità di diffusione del contagio:
a) personale sanitario (medici, infermieri, personale di supporto ospedaliero, personale delle ambulanze, farmacisti, addetti alle pompe funebri);
b) personale con ampia esposizione al pubblico e parte di servizi essenziali (personale di tutti i servizi commerciali aperti quali forniture alimentari, edicole, poste; autisti di mezzi pubblici e taxi; addetti alla pubblica sicurezza e a filiere produttive essenziali).

3) Ripetizione periodica del test molecolare sul suddetto personale fino a data da destinarsi.

Azioni necessarie per l’implementazione della Fase 1
a) Approvvigionamento e validazione di kit commerciali ad alta processività recentemente immessi sul mercato e basati su PCR per l’identificazione diretta degli acidi nucleici virali.
b) Mappatura sul territorio nazionale, e loro coinvolgimento, di laboratori pubblici e privati con basso carico di lavoro routinario e forniti di strumentazione e personale competente nella esecuzione delle tecnologie richieste (inclusi istituti zooprofilattici e per analisi di prodotti agroalimentari).
c) Sviluppo rapido di kit home-made sulla base di protocolli condivisi dalla comunità scientifica.
d) Esplorazione della possibilità di utilizzo di tecniche di tracciatura GPS o applicativi mobili dei contatti di individui positivi al fine di sottoporre a quarantena immediata gli individui a rischio.

FASE 2. ADATTAMENTO DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA E PRODUTTIVO PER LA GESTIONE DELLE CODE DELLA PANDEMIA E DI EVENTUALI ONDATE EPIDEMICHE FUTURE

1) Attività di sviluppo tecnologico volte alla messa a punto di test rapidi (40-60 min.) per screening sul posto (Point-of-care tests, POCT) basati sulla identificazione di acidi nucleici virali.

[Nota: gli attuali test sierologici “rapidi”, es. Biomedomics Inc., misurano gli anticorpi contro SARS-CoV2 e pertanto non forniscono risultati positivi nelle fasi iniziali di infezione. Pertanto la positività del test può indicare una infezione risolta e la sua negatività non esclude una malattia in atto. Tali test risulteranno tuttavia utili in una seconda fase per determinare lo stato di immunizzazione della popolazione dopo la prima ondata epidemica].

Azioni necessarie
a) Identificazione di laboratori e istituti di ricerca nazionali ed esteri con competenze necessarie per l’ottimizzazione delle suddette tecnologie.
b) Avvio di attività coordinate di ricerca e sviluppo.
c) Promozione di accordi fra regioni e atenei/centri di ricerca per permettere il reclutamento temporaneo di personale dei dipartimenti preclinici per tenere il passo della diagnostica COVID incluso il possibile trasferimento temporaneo di apparecchiature per l’automazione e l’esecuzione delle analisi in alto “throughput”.

[Nota: Sono in fase di sviluppo presso il Broad Institute at Harvard and MIT e la Mammoth Biosciences di San Francisco due piattaforme basate su “stick” diagnostici per l’esecuzione rapida del test molecolare in strutture da campo.

2) Produzione su larga scala di kit di validazione basati sulla identificazione di acidi nucleici virali.

Azioni necessarie
a) Consolidamento di una rete di laboratori forniti delle necessarie tecnologie e autorizzati alla loro esecuzione.
b) Produzione o acquisizione dei reagenti necessari per garantire il numero necessario di test.

3) Validazione, valutazione etico-legale ed implementazione di sistemi di tracciatura attiva tramite GPS dei contatti di individui positivi.

In seguito all’effetto delle strette misure di contenimento, la riduzione dei nuovi casi sarà seguita dal ritorno alle normali attività lavorative e sociali. Per evitare il rischio di un ritorno dei contagi, è auspicabile che ci si doti di ausili informatici in grado di tracciare i contatti delle nuove persone trovate positive al virus sull’esempio dell’App sviluppata dall’MIT che permette il tracciamento rispettando la privacy.

Azioni necessarie
a) Creazione di un team multidisciplinare composto da epidemiologi, data scientist, ingegneri elettronici ed informatici, bioeticisti ed infettivologi per la scelta e l’implementazione del tracciamento dei contatti, la scelta delle aree geografiche, dei tempi e delle modalità del tracciamento.
b) Esplorazione della possibilità tecnico-legale di utilizzo di tecniche di tracciatura GPS o applicativi mobili dei contatti di individui positivi che preservino la privacy, al fine di incoraggiarli a sottoporsi a test e, in caso di positività, a quarantena.

4) Adattamento del sistema di sorveglianza e produttivo per la gestione delle code della pandemia e di ondate epidemiche future.

a) Implementazione di una rete permanente di laboratori analitici ad elevata automazione, capaci di analisi molecolari e/o sierologiche/mese.

b) Potenziamento di attività di ricerca e sviluppo volte alla messa a punto di kit diagnostici e test rapidi molecolari e sierologici.

c) Potenziamento della capacità produttiva nazionale nel settore della diagnostica.

Azioni necessarie
a) Sulla base dell’esperienza acquisita durante la fase 1, elaborazione di specifiche tecniche per l’implementazione di laboratori ad elevata automazione, ivi compreso il software di gestione dei campioni (LIMS). Le apparecchiature e il software dovranno avere configurazione di tipo “open” in modo da permettere l’uso di kit sviluppati dal sistema di ricerca e produttivo nazionale e non ingenerare dipendenza da un singolo fornitore o gruppo di fornitori. Acquisizione delle nuove apparecchiature e del software necessario tramite gare e restituzione delle apparecchiature acquisite durante la fase 1 alle loro istituzioni di appartenenza.
b) Bandi per l’assunzione di personale specializzato per la gestione di tale rete di laboratori.
c) Bandi di ricerca applicata per lo sviluppo di kit diagnostici (molecolari e sierologici) ivi compresi test rapidi da effettuare presso i “point of care”.
d) Bandi per il trasferimento nel sistema industriale del know-how sviluppato al punto c).